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L’AUTOSTIMA E LE MASCHERE DI DIO

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Può la stima di sé influire sull’idea che ognuno ha di Dio? Abbiamo definito l’autostima come il valore che una persona si attribuisce, la fiducia generica nelle proprie capacità, la coscienza di essere una persona con punti di forza e limiti. Essa si forma sin dai primi anni di vita, sulla base delle esperienze vissute, dalla storia di apprendimento, dal tipo di educazione ricevuta; si può avere una bassa autostima, se si attribuisce poco valore a se stessi e non si crede nelle proprie capacità; un’autostima esageratamente alta, quando ci si sopravvaluta e ci si crede onnipotenti; un buon livello di autostima, se si attribuisce a se stessi un valore positivo, si crede nelle proprie capacità e si è serenamente consapevoli dei propri limiti.
autostima2_psc4Una delle fonti di infelicità del credente riguarda una falsa immagine che ha di Dio, lungo tutto l’Antico Testamento, infatti, si assiste ad una ricca rassegna di immagini con cui il popolo di Israele considerava Jahwe: creatore, giudice, dio degli eserciti… nel Nuovo Testamento Gesù ci fornisce delle bellissime immagini per trasmetterci la vera Persona e farci conoscere l’autentico volto di Dio: vignaiolo, pastore, padre misericordioso…
Oggi come consideriamo Dio, un padre severo e intransigente o un padre che nulla chiede e nulla vuole? Un giudice oppure uno zio buono? Un sadico che non interviene di fronte la sofferenza umana o un amico dispensatore di regali? Sono tante le maschere che mettiamo a Dio, ma è importante acquisire una corretta immagine per instaurare una relazione autentica con Lui: così come accade con le persone, allo stesso modo occorre fare con Lui.
Ogni persona matura un’attitudine religiosa positiva se si confronta con un’immagine di sé costruttiva, e il tipo di rapporto che ognuno di noi ha instaurato con i propri genitori sin dall’infanzia e l’immagine che ha sviluppato di sé, influenza fortemente anche l’immagine che si ha di Dio, infatti, si assiste ad un’evoluzione del concetto di Dio e dei sentimenti nutriti nei suoi confronti durante lo sviluppo psico-affettivo-relazionale di ogni persona: si passa dal dio punitore del bambino piccolo al dio che aiuta le persone, dal dio giudice al dio che protegge dell’adolescente.
Il bambino si rivolge a Dio con un atteggiamento positivo se ha sperimentato nei genitori amore e benevolenza e poiché ogni bambino è un essere in relazione con gli altri, a seconda di come vede gli altri vivere il loro rapporto con Dio egli “impara” a fare altrettanto. I genitori svolgono un ruolo educativo importante, poiché sono essi a influenzare il modo in cui il bambino cresce nel suo atteggiamento verso la fede, di fatti l’immagine da parte del bambino di un Dio che lo comprende, lo ama e lo accetta così come egli è, è legata alla percezione di genitori comprensivi, che lo amano e lo accettano. Inoltre, l’eccessiva moralizzazione dell’ambiente esterno (scuola, catechismo), se da un lato indica al bambino ciò che deve o non deve fare orientandolo verso un comportamento socialmente accettato, dall’altro può stimolare in lui un atteggiamento di dipendenza passiva, per cui crederà in una giustizia legalista e formale, punitrice o premiatrice di Dio. Dunque, quando l’adolescente si trova a contatto con un ambiente familiare in cui viene favorito in lui lo sviluppo di un atteggiamento ottimistico e di fiducia reciproca, maturerà un’attitudine favorevole verso un Dio vicino alla sua esperienza. Il rapporto non equilibrato con i genitori si traduce in una certa immaturità dell’idea di Dio, mentre un’immagine più realistica delle figure parentali, che permetta di considerarne anche i limiti, consente di avere un concetto di Dio più evoluto, cioè più realistico e meno fantastico.
Gesù ci da la corretta immagine di Dio quando dice a Nicodemo “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui[1]”. Dio è Misericordia, il Padre buono che ha dato tutto per noi, per questo la croce non è segno di morte, bensì di vita e di risurrezione e ci guarisce dal male più profondo e oscuro che ci affligge: il peccato e la paura di Dio.
Gesù nella croce ci aiuta a capire cosa significa lasciarsi amare da Dio; riflettiamo dunque sull’idea che abbiamo di Dio, sull’immagine che ci viene alla mente quando pensiamo e ci rivolgiamo a Lui.
Dio è Amore, l’Amore perfetto, che ci ama così come siamo, perché prima di vederci peccatori ci vede figli e ci regala la vita eterna se ci apriamo e ci lasciamo inondare da questo Amore!

Dott.ssa Giusi Perna

[1] Gv 3, 15-17

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